Relazione sentimentale con direttore commerciale di azienda concorrente del datore di lavoro: violazione dell’obbligo di fedeltà e conseguente legittimità del licenziamento per giusta causa

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In una recente sentenza della Corte d’Appello di Milano (n. 429/2021 del 2 aprile 2021), in un caso seguito dallo studio Sbarra Besi, i giudici milanesi hanno ritenuto legittimo il licenziamento di una dipendente addetta all’ufficio acquisti per aver taciuto al momento dell’assunzione e poi successivamente nel corso del rapporto di lavoro di avere una stabile relazione sentimentale (da cui era nato un figlio) con il direttore commerciale di una società concorrente con la datrice di lavoro per il potenziale pericolo di rilevazione di notizie riservate che avrebbe potuto pregiudicare gli interessi di quest’ultima a tutto beneficio della società concorrente. 

Nel caso di specie la dipendente sia in sede di assunzione che poi successivamente aveva taciuto in modo ritenuto non leale dalla Corte una stabile relazione sentimentale esponendo la società datrice di lavoro ad un potenziale conflitto di interessi.

A questo proposito la Corte parte dai principi generali secondo cui l’obbligo di fedeltà, la cui violazione può rilevare come giusta causa di licenziamento, si sostanzia nell’obbligo di un leale comportamento del lavoratore nei confronti del datore di lavoro e va collegato con le regole di corretta e buona fede di cui agli art. 1175 e 1375 c.c.; il lavoratore, pertanto, deve astenersi non solo dai comportamenti espressamente vietati dall’art. 2105 c.c., ma anche da tutti quelli che, per la loro natura e le loro conseguenze, appaiono in contrasto con i doveri connessi all’inserimento del lavoratore nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa o creano situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi dell’impresa stessa o sono idonei, comunque, a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto di lavoro (Cass., 30/10/2017, n.25759; Cass. 10/02/2015, n. 2550; 09/01/2015, n. 144; Cass. 18/6/2009, n. 14176).

La Corte poi ha modo di evidenziare che il dovere di fedeltà imposto dall’art. 2105 c.c. si sostanzia, quindi, nell’obbligo di un leale comportamento del lavoratore nei confronti del datore di lavoro ed a concretizzare la violazione di tale dovere basta che il comportamento sia tale da scuotere e far venire meno la fiducia del datore di lavoro; a tal fine è sufficiente un pregiudizio soltanto potenziale e non anche effettivo. In tali ipotesi, infatti, anche condotte solo idonee astrattamente ad arrecare un pregiudizio al datore di lavoro possono porre in discussione il vincolo fiduciario riposto nel prestatore di lavoro (Cass., 07/10/2019, n.24976).

Pertanto nel caso in esame, il comportamento tenuto dalla dipendente, integra certamente un potenziale rischio per la società datrice di lavoro, in quanto un’eventuale (anche involontaria) rivelazione di notizie riservate, ad es., in tema di politica dei prezzi di acquisto delle materie prime e di vendita dei prodotti – facilitata dalla intimità e dalla famigliarità del rapporto affettivo – avrebbe potuto pregiudicare gli interessi di quest’ultima a beneficio della società concorrente, la quale, peraltro, era già in contatto con i distributori della prima agendo in un mercato in concorrenza.

Secondo la Corte non vi è dubbio, quindi, che l’omessa comunicazione alla propria datrice di lavoro di una stabile relazione sentimentale, intrattenuta dalla “Responsabile dell’ufficio acquisti” (e, quindi, ben a conoscenza di notizie strettamente riservate circa la strategia commerciale aziendale) con il responsabile commerciale di una diretta concorrente, integri un comportamento non corretto, tale da far venire meno il rapporto fiduciario tra il datore di lavoro e la dipendente che, pur dovendo riferire tale situazione di incompatibilità, considerato il proprio ruolo apicale svolto in azienda e l’elevato livello fiduciario che implicavano le dette mansioni di responsabilità, l’ha volutamente ed intenzionalmente taciuta, esponendo la datrice di lavoro ad un potenziale rischio di conflitto di interessi. In sostanza la lavoratrice poneva in essere un’omissione integrante gli estremi di un grave inadempimento agli obblighi di fedeltà imposti al lavoratore: grave inadempimento che, considerate le mansioni di responsabilità svolte dalla dipendente, non poteva non incrinare in modo irreparabile il vincolo fiduciario intercorrente con la società datrice di lavoro. Da qui la legittimità del licenziamento intimato.

Il caso appare particolarmente interessante perché la decisione della Corte Milanese si focalizza non tanto sul danno conseguente all’attività concorrenziale del lavoratore, bensì solo sul potenziale pericolo che il datore di lavoro possa venire pregiudicato dal suo comportamento, accordando quindi una tutela nei confronti dell’imprenditore di notevole portata ed ampiezza che lo esime dal dover dimostrare il danno subito, in questo modo consentendogli una maggiore protezione soprattutto quando operi in mercati molto concorrenziali.

A cura di Alberto Sbarra